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La vita è come il jazz

La vita è come il jazz, viene meglio quando si improvvisa.

(George Gershwin)

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Era dai tempi dell’università che non seguivo in streaming un anime in contemporanea con la messa in onda in Giappone. Mi ero ripromessa di farlo per alcuni titoli (l’ultima stagione di Nodame Cantabile o Usagi Drop, giusto per citarne un paio), ma alla fine dopo il dorato periodo dell’università avevo messo una pietra sopra la visione degli anime subbati.

 

Come ultimamente mi capita, ieri sera mi sono autoimposta che no, dovevo assolutamente guardare Sakamichi no Apollon. E’ stata decisamente una delle cose migliori che io abbia fatto nelle ultime settimane.

 

Ispirato al manga josei di Yuri Kodama, Sakamichi no Apollon è una storia molto particolare. Innanzi tutto per i disegni, squisitamente seinen e lontani dall’idea imperante di josei. Quindi per l’ambientazione (il Giappone della seconda metà degli anni ’60) e il motore della  storia (la musica jazz che fa incontrare e avvicinare i protagonisti). Tutto il resto è il migliore sliece of life, fatto di incontri, amicizie dove non ti aspetti, amori, risate e musica, tanta musica.

 

La dinamica che lega i protagonisti è tale da non lasciare insoddisfatto nessun tipo di lettore: abbiamo le storie d’amore per le donzelle, una buona dose di amicizia tra uomini per far sghignazzare il sesso forte, e ammiccamenti a palate al bromance il che spiega perchè sia una delle serie più amate del momento dagli appassionati di BL. 😉

 

Per quanto riguarda l’animazione in sè sembra discreta: non sono un’esperta ma non ho notato difetti mastodontici. La regia è buona e le musica carine (sinceramente mi aspettavo di più, stiamo pur sempre parlando di gente che ha musicato Cowboy Beebop…ma può ancora crescere, siamo solo a metà).

 

Status: 11 episodi totali

Sub: sia inglesi che italiani

Perchè guardarlo: per la storia orignale e ben narrata e per Sentaro ♥

 

Sometimes, life is like jazz and goes in an unexpected direction…

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“Il dolore è per sempre. Non scompare, diventa parte di te, passo dopo passo, respiro dopo respiro. Non smetterò mai di soffrire per la morte di Bailey perché non smetterò mai di amarla. È così. Il dolore e l’amore vivono intrecciati, non esiste l’uno senza l’altro. Non posso fare che questo, volerle bene, e cercare di vivere come faceva lei, con coraggio, energia e gioia.”

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Ma che bei libri che mi sono ritrovata a leggere ultimamente. Dopo anni di mediocrità, 3 nel giro di una settimana. Un miracolo.

 

The sky is everywhere è uno di quei libri che, come Hunger Games, ha languito nella mia libreria per anni, ma forse stavo solo aspettando il momento giusto per leggerlo.

 

Mi rendo conto che la trama, comunque la si cerchi di raccontare, lascia un po’ a desiderare perchè in questo libro più che in altri conta quello che le parole non riescono ad espirmere.

E’ la storia di una ragazza, Lennie, a cui è appena morta la sorella maggiore. E di Toby, il ragazzo di Bailey, che sembra l’unico che riesce a capire l’abisso nel cuore di Lennie. E di Joe, un ragazzo nuovo, che Bailey non l’ha mai conosciuta e si innamora di Lennie.

Ma è anche la storia di un amore, grandissimo, tra due sorelle. Ed è la storia di una perdita lacerante, che si sbatte contro il muro e ti leva il fiato. E’ la storia di un dolore che vuole essere raccontato senza che nessuno ascolti. E’ la storia di fiori, libri, musica, fiumi e alberi testimoni di una vita che non continuerà più, che continuerà a morire, ogni giorno, cento volte al giorno, mentre il resto del mondo avanza. E’ la storia di come si può riuscire a venire a patti con tutto questo.

 

“E’ uno sforzo colossale non provare il tormento di quello che avrebbe potuto essere, e tentare piuttosto di essere felici di quello che è stato. ‘Mi manchi’ le dico ‘Non riesco a sopportare l’idea che ti perderai così tante cose.’

Come può, il cuore, reggere tanto?”

Ebbene sì, fatto 30 facciamo anche 31.

Prima che il mio spirito fangirlesco scatenato dalla lettura del libro si affievolisse, prima che la mia ferma convinzione di voler tenere distinti libro e film venisse meno, e prima che Lui ci ripensasse e mi mandasse a spasso, mi sono fiondata al cinema.

 

Iniziamo da alcuni punti fermi, necessari visto che negli ultimi giorni ho sentito bestialità varie:

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1) “No, non andiamo a vederlo perchè è troppo violento.”  A parte il mio sospiro di sollievo alla frase della signora perchè questa si portava dietro 7 bambini che non volevo assolutamente nella stessa sala con me, la frase rimane comunque una boiata. Le poche e ben dosate scene di violenza, sono attutite con cambi di scena convulsi e rumori ovattati.Poco sangue, qualche coltello, stop. Una puntata di Dragonball è più violenta.

 

2) “No, non andiamo a vederlo perchè mi pare una boiata.” Ovviamente questioni di gusto, ma detto da chi poi ha comprato un biglietto per American Pie, capisci che risulti credibile come Cicciolina vestiti da suora. Nel caso non si fosse già capito dalla mia recensione del libro rimarco il concetto: HG parte da uno degli spunti più geniali degli ultimi anni, credibile e ben congeniato.

 

3) “No, non andiamo a vederlo perchè vuoi mettere Twilight?!?” Ecco, sì dolcezza,  rimani pure fuori dalla sala così uccidi definitivamente quell’unico neurone che ti rimane e ne salviamo uno di mio, eh! Ad ogni modo, HG non è il nuovo Twilight (emmenomale): niente protagonista scema, niente vampiro sbarluccicoso, niente scenggiatura fatta col culo, niente colonna sonora da pezzenti, niente storia d’amore strappalacrime. Anzi, sotto la patina dell’azione HG pone spunti di riflessione che bisognerebbe cogliere.

 

4) “No, non andiamo a vederlo perchè vuoi mettere Harry Potter?!?”  Avessi avuto un paio di neuroni e qualche anno in meno, forse una frase del genere l’avrei detta pure io. Ma guardiamo in faccia la realtà: HG e HP prendono spunto da trame, argomenti, caratterizzazione dei personaggi completamente diversi e anche i libri stessi avevano un pubblico di destinazione separato da almeno 5 anni. Quell’aria cupa che in HP si inzia a respirare con il 4° libro, Hunger Games te la sbatte in faccia sin dalla prima pagina. Insomma il paragone lascia il tempo che trova, soprattutto cinematograficamente.

 

5) Ed infine la mia preferita “No, non andiamo a vederlo perchè sicuramente avranno rovinato il libro.” Io sono la Presidentessa ad honorem di questo partito, la frase sopracitata la ripeto almeno 4 volte l’anno, motivo per cui ci tengo a dire chiaramente che HG film è la fedelissima trasposizione di HG libro. Così fedele che per farlo più fedele potevano solo mettere Suzanne Collins a leggere sullo schermo, libro in mano. Ci sono lievi differenze, necessarie assolutamente, ma così poco lievi che non stonano, oltre al fatto che non sono buttate a caso, ma sono semplicemente anticipazioni del libro successivo.

 

Ed ecco la mia bomba: è proprio il suo essere così fedele al libro, secondo me, a limitare la pellicola cinematograficamente.

 

Rendere un libro narrato tutto in prima persona, dove la protagonista ragiona da sola ed impara di conseguenza (niente dialoghi illuminanti con altri protagonisti), è tutto meno che semplice. Potevano snaturare la cosa e infarcirla di dialoghi per renderla più simpatica ed efficace, oppure potevano rischiare il tutto per tutto e mantenere i silenzi ricchi di rotelline che girano. Così è stato fatto e, davvero, apprezzo tantissimo questa cosa, ma ho passato metà del film a mettermi nei panni di chi il libro non l’aveva letto e il risultato è stato che, vedendo tutti quei silenzi e sguardi fissi, avrei pensato che Katniss è un po’ torda.

 

Il film si segue bene, ha un buon ritmo, nessun tempo morto, dramma e flashback messi al punto giusto senza esagerare e con uno scopo,  eppure non sono riuscita a scorlarmi di dosso la sensazione fastidiosa del “ma l’avrei apprezzato davvero se non avessi letto il libro?”.

 

Viste queste premesse, Jennifer Lawrence si merita tutte le loti sperticate che ho letto: riuscire a trasmettere qualcosa, emozionare, far capire il tuo personaggio, creare empatia, quando hai meno battute di Dumbo non è mica cosa da poco. Imponente Donald Sutherland che con qualche fotogramma mi ha infuso il sacro terrore del Presidente Snow. Geniale Stanley Tucci, il suo Caesar Flickerman è proprio come l’avevo immaginato nel libro. Una gioia per gli occhi, ma completamente anonimo Liam Hemsworth, un Gale da guardare, ma facile da dimenticare e a volte poco credibile. Una vera sofferenza Josh Hutcherson, che fa sembrare Peeta più scemo di quanto non sia (cosa dite? Tutti miei pregiudizi perchè lo trovo un cesso? Nego assolutamente). Una sorpresa Woody Harrelson, un Haymitch che non mi aspettavo, ma ugualmente efficace.

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Va bene, ma alla fine ‘sto film t’è piaciuto o no?

 

Ecco… ni. E’ sicuramente un bel film e ha molti pregi e punti di forza che spero di essere riuscita a mettere in chiaro in tutto il blablabla qui sopra, ma non mi ha emozionata come speravo. Mentre ho amato il libro incondizionatamente, il film lo apprezzo con la testa, ma non con il cuore.

 

Fino ad un paio di anni fa (facciamo anche quattro) avevo un ottimo fiuto per quelli che sarebbero diventati dei casi letterari di successo. Giusto per tirarmela un po’ vi dico che ho letto Twilight in tempi non sospetti, quando di copie in libreria ce n’era una, e pure nascosta, e la Meyer non aveva ancora scritto il secondo (magari non l’avesse fatto sul serio), e che ho fatto a tempo a leggermi A feast for crows in inglese fresco di stampa prima che il mondo e la HBO scoprissero la miniera d’oro di the Game of Thrones.

 

Questo perchè fino a quattro anni fa avevo ancora una parvenza di tempo libero e il tempo per curiosare nelle librerie inglesi, oggi non più. Mi ritrovo quindi a compare i libri magari sì con discreto anticipo sulla versione cinematografica, ma puntualmente non li riesco a leggere. Diamo il benvenuto a Amabili resti, La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo e, ebbene sì, Hunger Games.

 

Però con Hunger Games mi sono detta “e-che-cazzo-no!” Quindi, avrò anche mancato l’anteprima nazionale, ma il film è uscito lunedì, oggi siamo a venerdì e io il libro l’ho finito da due giorni, tiè!  Crogiolandomi quindi nel molto-fiera-di-me beccatevi i commenti a caldo prima che la visione del film me li alteri.

 

 

Per quei pochi che fossero riusciti ad evitare articoli e servizi e che ancora non conoscessero la trama, Hunger Games è ambientato in un ipotetico stato di Panem, rimasuglio degli Stati Uniti post catastofi naturali, scioglimento dei ghiacci e guerre conseguenti. La capitale Capitol City governava 13 Distretti, questo fino a quando il 13° non si è ribellato. La rivolta ovviamente non è andata bene, il Distretto 13 è stato raso al suolo e agli altri, come monito, Capitol City ha imposto la Mietitura: ogni anno, per ogni distretto, vengono estratti a sorte un ragazzo e una ragazza dai 12 ai 18 anni. I 24 fortunati vengono sbattuti nell’Arena ad uccidersi a vicenda, il tutto nel reality più seguito ed amato di Panem: gli Hunger Games. Chi vince si becca, oltre alla pellaccia salva, onore, gloria, soldi a palate e l’ingrato compito di fare da mentore ai successivi Tributi (così sono chiamati i ragazzi estratti) del suo Distretto.

 

Ma conosciamo la nostra eroina: Katniss Everdeen. La figliola c’ha avuto una botta di sfiga mica da ridere nella vita: padre morto nelle miniere, madre assente, sorellina angelica da sfamare, etc. Insomma, la cugina americana di Candy Candy. La ragazza però c’ha guadagnato in palle e, sì, anche in testa. Ogni tanto è un po’ troppo inpulsiva e questo le ottenebra la capacità di giudizio, ma si accorge in fretta dei suoi errori e soprattutto, impara da essi. Mica come Bella Swan (lo so, questa era facile). Accanto a lei l’uomo della mia vita: Gale, alto, moro, di poche parole, ma efficaci. Ho il sospetto che non sarà l’uomo della sua di vita, ma non voglio spoilerare.

 

Dicevamo, siccome Katniss è la cugina di Candy Candy alla Mietitura viene estratta sua sorella dodicenne. Alla sua prima partecipazione, così. Fortunata, eh? E Katniss, giusto per incrementare la dose di fortuna, si offre come volontaria al posto della piccola Prim. Con lei negli Hunger Games Peeta, il figlio del fornaio, con il quale ha un debito del passato il quale la fa sentire un po’ uncomfortable, diciamo. Peeta ci mette del suo per essere simpatico, ma sinceramente, in questo primo libro non mi ha detto molto. Ho visto degli sprazzi interessanti, ma immagino che l’autrice sia stata fumosa con premeditazione. Inoltre inutile affezionarsi al ragazzo perchè il vincitore degli Hunger Games può essere solo uno…

 

Oppure no? Il giorno in cui il loro mentore Haymitch dedice di smettere per un po’ di bere Katniss e Peeta ne guadagnano sicuramente in punti vita, ma Capitol City non ama essere presa per il culo…

 

In sintesi: dopo l’incenso sparso su questo libro le mie aspettative erano alte e, miracolo, non sono state disattese. Non ho letto molti libri del genere dystopia, ma HG è di sicuro dei più originali sul quale abbia mai messo gli occhi. Tutta la struttura intorno agli Hunger Games è credibile, interessante e solida; i personaggi per quanto un po’ sacrificati all’azione (Katniss a parte) profumano di vero; la scrittura è quella di un young adult, ma è scorrevole e non si prende sul serio. D’altra parte tutto il libro è narrato dagli occhi e dalla voce di Katniss, un altro tipo di scrittura avrebbe fatto a pugni con il personaggio.

Giusto per dare un’idea: mi sono ritrovata a fare l’una di notte e, una volta forzatami a chiudere il libro per dormire, a sognare il seguito. Mi sono ritrovata a leggere in macchina ai semafori rossi, rischiando vita e patente. Mi sono ritrovata incattivita per non aver avuto sotto mano il secondo libro immediatamente. Ho provato emozioni durante e post lettura che avevo ormai dimenticato, trucidate da libri fotocopia e mediocri letti negli ultimi anni.

Benvenuto Hunger Games, e speriamo che il film ti renda giustizia.

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30 Giorni di Serie TV ~ Giorno 7: la tue serie d’azione preferita

Certo che questa divisione in generi è fatta proprio con i piedi….Non so bene cosa intendano con serie d’azione visto che ormai c’è un po’ di azione in ogni serie e i generi si mescolano molto, ma probabilmente intendevano qualcosa stile poliziesco o alla Alias (a proposito di Alias, mi manca, devo decisamente recuperalo, voi cosa dite?). Io, un po’ a naso, ho scelto The Pretender, meglio noto come Jarod il Camaleonte.

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Solita serie bistrattata dalla messa in onda italiana, ma che a me piaceva parecchio perchè mescolava in modo ponderato sci-fi, azione e romance. Inoltre ha tenuto botta per 4 stagioni in modo decente, senza cadute di stile o di ritmo, mica pizza e fichi.

 

Outsider della categoria segnalo Prison Break. Ho visto solo la prima stagione, che mi è piaciucchiata, ma con la seconda mi sono arenata a metà. Mi dispiace mollarlo perchè l’idea era interessante e il ritmo non male, ma certi loop nella trama mi hanno un po’ svaccata ecco…Spero mi torni la voglia di finirlo!